“… Lo sguardo su Gesù incarnato…”
Mi hanno sempre colpito le parole di suor Beniamina, quando riferisce che nell’immediatezza della morte di suor Maria Laura, alla domanda dell’allora vescovo di Como mons. Alessandro Maggiolini di redigere per lui un resoconto della sua vita, lei e le altre suore non sapevano come fare, perché – così sostenevano – non avevano letteralmente nulla da scrivere. Tutte si rifiutavano di farlo per dichiarata incapacità. Suor Maria Laura era troppo “normale” per scrivere su di lei: cosa raccontare di speciale se di straordinario non c’è nulla? Passerà un anno perché le suore, loro malgrado, dopo un ultimo scocciato richiamo del vescovo, si decidano a scrivere. Chi di loro? Toccherà in sorte a suor Beniamina: «le eri amica, fallo tu!».
Nulla da scrivere perché troppo normale. Da questo aneddoto, vorrei trarre una prima riflessione che ha a che fare con il mistero dell’incarnazione di Gesù che tra poco celebreremo a Natale. A me pare che oggi in pochi cerchino la normalità, che è il primo volto dell’incarnazione: la viviamo, certo, ma non la vogliamo, piuttosto la sopportiamo senza sceglierla. Eppure il figlio di Dio venuto nel mondo questo ha vissuto, una vita normale, dove il ministero pubblico sarà il frutto e l’espressione di un’umanità appresa e maturata in quei trent’anni di Nazareth – “la vita nascosta” la chiamano – in una quotidianità fatta di famiglia, di amicizie, di lavoro, delle piccole cose di tutti i giorni. Una normalità che apparve sin dalla nascita a Betlemme e che stupì gli stessi pastori invitati dagli angeli ad adorarlo per primi. «Ma Dio, che segno! – commenta von Balthasar –. Non il bambino. Ma un bambino. Un bambino qualunque. Nulla di speciale. Non un bambino che irradia una luce devota, come lo hanno raffigurato i pittori devoti. Ma al contrario: uno che appare così poco glorioso. Avvolto in fasce. […] Praticamente non c’è qui nulla di particolarmente elevato, la meta della camminata notturna è la cosa più normale di questo mondo, piuttosto deludente per la sua povertà. Ciò che è universalmente umano, ciò che è profano, non contraddistinto da nulla, tranne dal fatto che questo è il segno promesso, che corrisponde alla descrizione».1 I pastori – commenta il vangelo – se ne andarono glorificando e lodando Dio, forse per aver pensato che se quel bambino comune era il Salvatore promesso, allora anche la loro era una vita dignitosa e anch’essi – gli ultimi - avevano valore agli occhi di Dio.
1 HANS URS VON BALTHASAR, “Tu coroni l’anno con la tua grazia”, Jaca Book, Milano 1990, 216.
Don Lorenzo Pertusini
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Rosario e la Catechesi in memoria di Suor Maria Laura
Preghira del Rosario - Mistero della Gloria - pdf