Filles de la croix Espagne

MANI UNITE DA UNO STESSO CUORE
Mar 31, 2022

2022... un virus che si rifiuta di andarsene, dopo due anni di pandemia. Due anni di difficoltà, malattie, morti... tempi di oscurità. Senza averlo ancora sconfitto, una guerra scoppia vicino a noi, un'altra nel mondo, alle porte dell'Europa. L'Ucraina brucia sotto i missili di Putin, guidato dalla follia, dalla mancanza di umanità, dalla mancanza di empatia... L'Ucraina brucia... e resiste con la sua piccolezza!

Donne, bambini, anziani... Da un giorno all'altro, sono costretti a lasciare la loro famiglia, i loro amici, la loro città, la loro cultura, il loro posto nel mondo... Da un giorno all'altro, non c'è alternativa: fuggire per salvare la propria vita.

In pochi giorni, più di tre milioni di persone lasciano il loro paese, in preda alla disperazione, a una profonda tristezza, al disastro, al dolore... cercano rifugio dovunque è possibile. 

Sì, nella morte c'è la resurrezione. La luce, per quanto debole, prevale sulle tenebre. Dalle ferite nascono i germi della vita.

Di fronte alla follia, un'ondata di solidarietà percorre anche i cuori dell'Europa.

È la domenica del 13 marzo 2022. Nel pomeriggio, ricevo una chiamata da suor Ana Rodríguez, della Comunità di Egiluze (Irún): sono appena state informate che un gruppo di pompieri di Madrid sta tornando dalla frontiera tra l'Ucraina e la Polonia con le loro camionette, dove hanno tratto in salvo un gruppo di donne e bambini, e che dovranno riposare a Egiluze per continuare il loro viaggio di salvezza. Non c'è altra scelta, non è possibile soffocare il grido di coloro che soffrono. Nemmeno Santa Giovanna Elisabetta si è chiusa orecchie quando, tornando dall'Eucaristia, ha sentito grida di dolore in mezzo alla foresta. È un’occasione reale e concreta per mettere in pratica ciò di cui abbiamo parlato negli ultimi anni: suore e laici, insieme come una famiglia, al servizio dei piccoli e dei poveri.

Le suore organizzano il necessario per preparare l'arrivo dei furgoni carichi di donne crocifisse. La gente dei dintorni collabora e lascia panini e prodotti per la colazione.

Quando arrivo a Egiluze, verso le 22,30, tutto è pronto per accogliere questi rifugiati. In ogni caso, c'è un certo disagio o nervosismo di fronte a una situazione insolita. Non so veramente ciò che faccio a Egiluze, ma so che sono là dove devo essere: con le mie sorelle. L’arrivo è previsto per l’una, poi per le 2,30... Queste ore di attesa sono anche un regalo, un tempo per ritrovarsi, per parlare di ciò che è umano e di ciò che è divino... Suor Karina prepara, con talento e molto calore, dei pannelli di benvenuto in lingua ucraina. Decoriamo l’entrata, indichiamo i corridoi che conducono alle camere e alla sala da pranzo,  collochiamo un messaggio di benvenuto nella sala da pranzo: Ласкаво просимо ("Laskavo prosymo" = "benvenuti").

Alle 2,15 del mattino, continuiamo a chiacchierare, in alcuni momenti, quando la fatica si sente maggiormente, chiudiamo gli occhi e posiamo le nostre teste sul divano: un’immagine che si potrebbe trovare, in questo preciso momento, in qualsiasi famiglia. In questa calma agitata, il silenzio prende il sopravvento: è il silenzio del sabato santo.

Uno squillo di telefono rompe il silenzio; sono i pompieri: Hanno ancora della strada da fare per raggiungere Irun, e stimano che arriveranno verso le 3.30 del mattino.

Il silenzio, interrotto da uno sbadiglio occasionale, continua.

Sono le 3,15, e devo muovermi per non addormentarmi. Decido di scendere nel cortile per mettere nella mia macchina il libro che avevo con me, e che tra le chiacchiere e i silenzi, non avevo aperto. Quando arrivo alla reception, dalla piccola finestra, vedo delle luci. «Che cos’è questo? Non è ancora l’ora, ma ci sono parecchie luci», mi dico. Chiamo Suor Ana al telefono. «Penso che sono già arrivati, ci sono diverse luci», le dico. Risponde: «Di già? Forse è l’Ertzaintza (polizia basca)? A volte passano di là per motivi di sicurezza. Scendiamo, nel caso che… ».

La prima ad arrivare alla reception è Suor Maïté Heredia. Pensiamo che siano loro. Arrivano anche le altre suore (Suor Consuelo, Suorr Charo, Suor Karina).

Suor Maïté Heredia apre la porta d’Egiluze. In effetti, sono loro. O piuttosto: sono donne. Sono loro la luce. Una folla di donne, alcune con bambini e adolescenti, escono dai furgoni, portando sacchi non molto grandi. Usciamo e ci avviciniamo a loro, annuendo con la testa in segno di benvenuto e rispetto. Si può vedere la fatica sui loro volti, nonostante le mascherine, e camminano lentamente. Offriamo loro nuove mascherine, ma uno dei pompieri ci dice che non è necessario, che ne hanno più che a sufficienza per i prossimi giorni. Si dirigono verso l’entrata, alcune suore accompagnano le prime, noi aiutiamo a portare i bagagli... Salgono le scale e, vedendo le camere aperte, entrano. C’è un po’ di caos nella distribuzione delle camere, ma poco a poco si sistemano due a due, le madri coi loro bambini... Salgo di nuovo le scale con una donna ucraina: lei si ferma davanti alla Croce del Risorto, guarda il Cristo risorto e gli accarezza dolcemente i piedi con uno sguardo d gratitudine. Sono colpito da questo gesto: la luce in mezzo alle tenebre.

Arriviamo all’ultimo piano, c’è una giovane che parla un po’ spagnolo. Mi dice: «Grazie, fratello, grazie! Avete messo perfino dei pannelli in ucraino, com’è gentile da parte vostra! Le offro la password di Wi-Fi, e subito i giovani vengono a connettersi ad internet. “Dobbiamo contattare i parenti, alcuni sono ancora in Ucraina, altri sono in altri paesi, dobbiamo dire loro che siamo qui e che siamo sani e salvi”, dice la ragazza ucraina che parla la nostra lingua.

I pompieri di Madrid, di cui uno di Tarragona, sono gli ultimi a salire al piano e a sistemarsi nelle loro camere. Parlo ad uno di loro, sono veramente stanchi, ancora più dei rifugiati. Mi informa che hanno viaggiato per circa 1.800 chilometri lo stesso giorno. Gli chiedo se hanno bisogno di qualcosa, e lui risponde “dormire, qualche ora basterà”. Poi avvicinandosi, mi dice che il gruppo si è calmato, ma che arrivando in Ucraina, hanno visto scene di disperazione, dei volti terrificati... “Quello che ho visto è indescrivibile. Non si può augurare questa situazione a nessuno”. Continuiamo la nostra conversazione, mentre le suore vanno e vengono, portando dentifricio un po’ di gel doccia nelle camere. Si stabilisce la calma e il silenzio e, dopo aver salutato le suore, lascio Egiluze dietro di me, con tutte le camere illuminate. Alle 5 del mattino, le strade della città sono vuote e le case buie. La luce d’Egiluze contrasta con l’oscurità delle case. Che contrasto!

Arrivo a casa, mia madre è rimasta svegli fino al mio arrivo e, dal letto, informo la Fraternità Molante di ciò ce ho vissuto. Tutti sono stati presenti, ciascuno dal loro posto, con la preghiera, con un accompagnamento fraterno, familiare. Preghiera e azione. Suore e laici. Insieme. Non in quanto famiglia, ma IN FAMIGLIA.

È già lunedì e io, con solo alcune ore di sonno, ritorno alle mie responsabilità. Il gruppo di donne, bambini e pompieri si risveglia, scende per la colazione... Salgono sui furgoni e, a mezzogiorno, proseguono il loro cammino.

Quello che ho vissuto e condiviso mi dà motivo di riflessione. Prima di tutto, la conclusione più evidente: Dio si rende presente nell'oscurità, nella disperazione, nel dolore... E in secondo luogo: un bell'esempio di agire come una Famiglia, un'esperienza di vita, radicata nel Carisma, suore e laici, mano nella mano, insieme, in una combinazione inseparabile di preghiera e missione. Per i crocifissi di oggi. Con la convinzione che attraverso la Croce si arriva alla Risurrezione, che è nelle tenebre che la luce brilla di più, che con il Signore, per il Cristo, con Lui e in Lui, la morte diventa vita.

Lander Ugartemendia Mujika